Il perdono giudiziale

Tribunale per i minorenni di Firenze, Sentenza 8 luglio 2015, n. 132

La pronuncia in commento offre l’occasione per approfondire l’istituto del perdono giudiziale previsto all’art. 169 c.p., misura che – come sappiamo – è stata introdotta nel codice del 1930 per esigenze di natura specialpreventiva volte a scongiurare, nei confronti dei minorenni, impatti deleteri con il carcere nonché la stigmatizzazione derivante da una condanna.

È bene dire che i primi due commi dell’art. 169 c.p., a seguito dell’entrata in vigore della legge recante l’istituzione e funzionamento del tribunale dei minorenni, risultano non più in vigore ed ora sostituiti dall’art. 32 D.P.R. 448/1988, il cui “contenuto” è, tuttavia, nella sostanza il medesimo di quello previsto dalla norma codicistica.
Ai fini del riconoscimento del beneficio, la natura del reato non comporta alcun limite di operatività, sempre che il giudice ritenga che la pena da applicare in concreto non superi i due anni, se detentiva, od € 1.549,00 , se pecuniaria, con la precisazione che, qualora il minore risponda, in un processo cumulativo, di più reati concorrenti, deve aversi riguardo alle singole pene che devono essere inflitte in concreto per ciascun reato e non a quella irrogabile in concreto complessivamente a seguito della applicazione della continuazione, mentre ne viene esclusa l’operatività  in presenza di un reato permanente e di un reato abituale, quando la condotta si protrae oltre il compimento del diciottesimo anno di età (Cass. Sez. IV, 17.1.2012, n. 6970).
In tal senso, il perdono presuppone sempre l’accertamento della responsabilità necessario affinché il giudice possa quantificare la pena che irrogherebbe e, dunque, impone di rintracciare l’esistenza di elementi per il rinvio a giudizio dell’imputato (in udienza preliminare) o per la sua condanna (in caso di dibattimento o di rito abbreviato).
Ovviamente, la sua applicazione determina, però, l’assenza di una sentenza di condanna, che, invero, non viene pronunciata nel caso di specie.
Sussiste, poi, ulteriore limite “esterno” così come contenuto nell’art. 164, comma 2 c.p., richiamato dall’art. 169, penultimo co., e consiste nell’aver riportato una condanna a pena detentiva per delitto commesso posteriormente a quello per cui si procede (purché giudicato con sentenza divenuta irrevocabile anteriormente a quella pronunciata nel secondo procedimento), anche laddove sia intervenuta riabilitazione.
È, inoltre, ostativa alla concessione del beneficio la sentenza di condanna alla pena della reclusione riportata dall’imputato successivamente alla prima sentenza concedente il perdono, in quanto essa determina il venir meno della condizione prevista dall’art. 169, penultimo co., ovvero la necessità che il soggetto non abbia riportato precedente condanna a pena detentiva.
Il perdono risulterà operante anche in caso di condanna (successiva) per reato – delitto o contravvenzione – commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono giudiziale a pena che, cumulata a quella inflitta con quest’ultima, non superi i limiti previsti per la concedibilità del beneficio (Cass. Sez. II, 7.12.1988).
La giurisprudenza è concorde nell’assimilare il perdono giudiziale alla sospensione condizionale della pena sotto il profilo della necessità di addivenire ad una prognosi favorevole in ordine alla possibilità che il reo si asterrà dal commettere ulteriori reato (Cass. Sez. V, 30.9.2013, n. 573).
Con riguardo all’effetto estintivo, peraltro, i due istituti si differenzierebbero in quanto il primo si verifica al momento del passaggio in giudicato della sentenza che lo applica, mentre per la seconda l’effetto è differito, oltre che eventualmente condizionato all’adempimento di obblighi, e comunque, entro i termini stabiliti dalla legge, revocabile (Cass. Sez. II, 20.11.1990).
La sospensione rappresenta, dunque, un istituto meno vantaggioso del perdono giudiziale, in quanto la scelta del giudice deve tenere conto della gravità del reato,  nonché della personalità del minore, della necessità di rafforzare il proposito di ravvedimento del colpevole e della eventualità, connessa alla sospensione, della revoca del beneficio.
In chiave pratica, il beneficio appare riservato, in termini residuali, all’ipotesi di fatti per i quali i profili di esclusione della offensività sono tali da non consentire la pronuncia di non procedibilità ex art. 27 (per “irrilevanza del fatto”, legittimata dalla tenuità del fatto, occasionalità del comportamento e ritenuto pregiudizio educativo derivante dal proseguimento del processo), ovvero tali da escludere l’efficacia della sospensione del procedimento a favore di un periodo di “messa alla prova”, alla stregua della disciplina prevista dall’art. 28.
Ne consegue che l’applicazione giurisprudenziale dell’istituto risulta fortemente ridimensionata.
In ogni caso, detto beneficio estingue il reato, la pena principale, le pene accessorie nonché gli effetti penali della condanna e non comporta una pronuncia di condanna dell’imputato al risarcimento dei danni (potendo, invero, questa conseguire soltanto alla condanna per la commissione del reato).
Da notare, infine, che il perdono giudiziale, pur comportando un accertamento di responsabilità dell’imputato, non può valere come sentenza di condanna agli effetti della recidiva (Cass. Sez. VI, 28.9.2012, n. 41231).
Avvocato Brugherio (Monza – Milano) Avvocato Andrea Scaccabarozzi.